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Karin e la demenza

  • mauromontanari9
  • 6. Apr. 2024
  • 3 Min. Lesezeit

Un caso clinico


Lei è un medico. Viene da me, dice, perché gli analisti tedeschi sono dei pezzi di merda. La dizione corretta è “Ars …”, tanto per la precisione. Perché ti vogliono sempre insegnare qualcosa. Tu vai là, come paziente, dice, e loro si mettono al centro del discorso come se i pazienti fossero loro! Siamo a Francoforte sul Meno, nell’inverno tra il 2017 e il 2018. Karin, me lo dice nell’anamnesi, ha sessantotto anni, sta per chiudere il suo gabinetto medico per ragioni di età e, da quando ha maturato questa idea, ha iniziato ad avere paura dei luoghi chiusi. All’aperto, anche se è inverno, dice, sta bene. Ma quando deve rientrare, il pensiero di salire sul vagone di una metropolitana la fa sudare freddo sotto il cappotto.

Karin è ancora una bella donna. Ha una maniera graziosa di muovere la bocca e di inspirare, prima di pronunciare una parola, che ricorda quella di una bambina.

Dice lo psichiatra israeliano Irvin D. Yalom, che io ammiro come maestro: ciò che della morte è orribile, non è la perdita del futuro, bensì la perdita del passato. Nei fatti è l’atto del dimenticare già un aspetto della morte che noi vediamo durante la vita.

Il marito di Karin è demente e passa il suo tempo davanti alla finestra senza muoversi. Lei prova a scuoterlo; vuole convincerlo a leggere qualcosa, a imparare una lingua, il francese, ad esempio. Lo vuole trattenere di qua, nel nostro mondo. Lui era un grande patologo, dice. Era stato il suo professore, ha sedici anni più di lei. Si sono innamorati da subito e lui ha aspettato che lei uscisse dall’università, quindi si sono sposati.

A me piace osservare le persone. Karin parla con voce ombrosa, come fosse sola e si rivolgesse alla sua stessa anima. Indossa ogni volta un curioso turbante giallo, come andava di moda vent’anni fa e bussa educatamente alla porta, anche se è aperto. Mi domando, lei è medico, non sa che la demenza ti spappola il cervello? Che le sinapsi si fondono come cera? Che la demenza è un biglietto di sola andata? Suo marito, le dico, sta alla finestra, ma in realtà è già entrato nella Dimenticanza. I greci la chiamavano Il Regno dell’Ombra, lo stesso dove stanno anche i sogni. Non a caso, per loro il Sonno e la Morte erano gemelli: Hypnos e Thanatos.

Lei lo vuole tirare indietro, suo marito. Strapparlo ai gemelli. Trattenerlo di qua, perché ha paura di finire nello stesso buco. E, in fondo, anche entrare nella metropolitana è come seguirlo sottoterra nel Buio e nel Regno dell’Ombra. Per questo preferisce andare a piedi o prendere il tram.

All’inizio, dice, quando lui aveva smesso di insegnare, lavoravano nello stesso studio. Lui non più come patologo. Aveva rinunciato anche alla clinica per dedicarsi al loro progetto comune. Era entrato come medico generico. Lo aveva fatto per amore di lei? Glielo chiedo, ma lei non risponde. Si può dire, dice, che lo avessero aperto insieme, lo studio. Poi lei ha continuato da sola, insieme ad una collega più giovane. Lo ha amato davvero, o lo ha soltanto ammirato? Perché se lo amasse davvero, penso, lo lascerebbe andare nel Regno dell’Ombra! Importante è lasciare un traccia dietro di sé: figli, libri, buone azioni, un amore vero, una amicizia vera. Lui le ha lasciate, queste cose, dietro di sé, penso, ed ora vuole andarsene, e le ha indicato anche la via!

Karin parla molto della metropolitana. Non capisce come la gente possa entrare in quel buco per terra. Già le scale mobili la mettono in agitazione. Abita nei pressi dello Zoo. La stazione è quella della Konstamblerwache. Buia come la notte, dice.

In realtà, alla Konstamblerwache c’è sempre gente e nel 2017 a Francoforte una donna poteva girare di notte senza problemi (ora non lo so). Il fatto è che Karin è in attesa dell’alba del suo cuore, ma non sa se arriverà mai, e non lo so neanch’io.

Un giorno entra senza bussare e mi racconta un sogno. Lui si era alzato dalla sedia e le aveva detto: seguimi, perché la vita proseguirà anche senza di te. Das Leben wird auch ohne Dich weitergehen … queste le parole esatte. Mi sembra sconvolta. Anche il cappellino giallo è fuori posto. Le dico di sedersi. Quel sogno è la chiave. C’è un curioso ribaltamento dei ruoli. Non è più lei a volerlo trattenere; è lui piuttosto che è venuto a prenderla. Il terrore di lei è comprensibile. La scena che non avrebbe mai voluto vedere le è comparsa davanti all’improvviso. Ma non è quello il punto. Il punto non è neppure la paura di seguirlo nel buco nero, dico. La questione è che la vita proseguirà anche senza di lei. Senza di lei! Das Leben wird auch ohne Dich weitergehen. È questo ciò che Karin davvero non può sopportare.

Mauro Montanari Ph. D.



 
 
 

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